Come e quando è nato questo progetto?
Il progetto Kublai è nato ufficialmente nel 2020, con l’uscita di un disco omonimo. In realtà era un’idea che covavo da tempo, sentivo la necessità di avere un contenitore che non coincidesse con la mia persona, avvertivo – e avverto ancora – una sorta di claustrofobia nel vestire i panni del cantautore. Non che rinneghi questo titolo, ma l’idea che sta alla base di Kublai è di non accontentarsi di sé stessi, di cercare un po’ più in là. La maniera più semplice per fare ciò è contaminarsi, così ho scritto quel disco insieme a Filippo Slaviero, e ne è uscito un album che racconta un’amicizia, un dialogo, un rapporto tra due anime opposte. Questo, in poche parole, è Kublai.
Cosa vorresti far arrivare a chi ti ascolta?
Per quanto detto qui sopra, quando collabori con altre persone è impossibile avere un controllo sul risultato finale. So per certo di non voler comunicare a livello cognitivo, i miei testi non sono sempre intellegibili e non ho “contenuti” precisi. Cerco sempre l’ambiguità, credo che la comunicazione “dritta”, nella musica, non abbia molto senso. Mi piacerebbe che ascoltando Kublai si avesse la sensazione di un ritorno a casa, non come un luogo per forza rassicurante, di cui si ha nostalgia, ma come un antro colmo di asperità, anche spaventose, ma comunque enorme e bellissimo, comunque casa.
Qual è la cosa che ami di più del fare musica?
La cosa più bella di fare musica è farla, cioè usare tutte le possibilità espressive che ti offre. Come dicevo prima, fare musica esclusivamente per veicolare contenuti che hanno altri scopi, o che potrebbero passare da altri canali, è riduttivo, non sfrutta appieno le sue potenzialità. Melodia, armonia, ritmo, intensità, sono strumenti molto fiochi nel linguaggio quotidiano, mentre in musica esplodono, sono potentissimi. Spesso invece facciamo musica “come se parlassimo”, senza l’enfasi che questi mezzi ci offrirebbero. Ma una parola cantata contiene molte più informazioni di una detta, e una parola cantata in un modo, né contiene molte di più di una cantata in un altro, con un’altra melodia, con un’altra scansione. La bellezza del fare musica è disporre di questa cornucopia, giocare a trovare delle regole tra queste infinite combinazioni e possibilità.