Qualche anno fa il mio insegnante di chitarra mi ha proposto di studiare una canzone di una band americana (a me assolutamente sconosciuta) resa interessante dall’accordatura insolita della chitarra e dalla disparità del tempo. Il nome di quella band è American Football, il titolo di quella canzone è Never Meant.
Da allora il quartetto dell’Illinois ha latitato nella mia memoria musicale spuntando occasionalmente in mezzo a qualche conversazione alternative, per la precisione midwest emo, intrattenuta qua e là. Ciò nonostante, quando ho saputo che il tour celebrativo organizzato in occasione del venticinquesimo compleanno del primo album, l’eponimo American Football, avrebbe toccato il suolo italiano, non mi sono lasciato sfuggire l’occasione di sentire dal vivo un gruppo cult degli anni ’90.
Così, mi sono ritrovato in un Alcatraz gremito fino all’inverosimile e oltre ogni mia più ottimistica aspettativa, in cui la fila davanti al merchandising arrivava quasi a toccare il palco piazzato dall’altra parte della sala rispetto alla bancarella: una dimostrazione di affetto notevole per una band che credevo fosse dimenticata, o perlomeno di nicchia.
Alle 20:00 spaccate inizia il concerto degli Edless, una formazione italiana un po’ dark e un po’ shoegaze che, con i suoi brani dilatati, crea un’atmosfera sognante e sospesa perfetta per l’evento.
A questo punto salgono sul palco, accolti da un boato che accompagnerà l’inizio di ogni canzone, gli American Football che si presentano con Five Silent Miles; un brano strumentale che è l’emblema della serata perché la band parla poco, le canzoni sono ermetiche e anche tra una e l’altra il frontman non interagisce più di tanto con il pubblico, e si concentra sugli intrecci chitarristici che ne rappresentano la cifra stilistica.
Il concerto continua in questo modo: i pezzi del primo album, intimi e sospesi, si susseguono senza sosta ma senza frenesia, gettando il pubblico in una malinconia amplificata dalle immagini che scorrono sullo schermo e che raffigurano la casa dove i membri della band hanno vissuto durante gli anni del college. Il repertorio è omogeneo (si potrebbe quasi dire che le canzoni tendono ad assomigliarsi, anche se coinvolgono grazie alle melodie dolci che le contraddistinguono) ma va sottolineato il fatto che i musicisti improvvisano molto, offrendo soluzioni innovative e modulazioni pregevoli, che rendono ogni composizione diversa dalle altre. Il concerto prosegue tra arpeggi e spleen fino al momento che tutti aspettavano: Never Meant, che i presenti cantano mentre sorreggono fans impegnati a fare stage diving. Il concerto si conclude con alcuni brani estratti dai due dischi realizzati dopo la reunion del 2014, che confermano la capacità degli American Football di scrivere melodie nello stile dei Death Cab For Cutie.
Ancora stupito dall’affluenza monstre registrata all’Alcatraz, dopo il concerto decido di intervistare alcune persone per capire come gli American Football sono diventati un fenomeno. Le risposte sono varie. Pasquale, partito da Caserta, è un fan della prima ora, mentre i vicentini Piero e Andrea mi dicono che la band è protagonista di una serie di meme, ma la risposta migliore è quella di Lorenzo: la musica alternative, la musica minore, suscita un forte senso di solidarietà. Ieri sera eravamo tutti al concerto di un gruppo di amici.
Gianluca Maggi