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Fontaines D.C.

Romance

XL Recordings
23 Agosto 2024
di Andrea Riscossa

Walter Mitty: When are you going to take it?

Sean O’Connell: Sometimes I don’t. If I like a moment, for me, personally, I don’t like to have the distraction of the camera. I just want to stay in it.

Walter Mitty: Stay in it?

Sean O’Connell: Yeah. Right there. Right here.

Iniziare un tema con una citazione o, peggio ancora, con una definizione del dizionario, significava far storcere la bocca alla mia amatissima professoressa del liceo. Ancora adesso provo vergogna, ma voglio essere onesto fino in fondo nel parlare dell’ultima fatica dei Fontaines D.C.Romance. Per buona parte dei primi ascolti, oltre a qualche decina di pagine di appunti, impressioni e spunti, mi è tornata alla mente la sopracitata scena del film The Secret Life of Walter Mitty, di cui non parlerò oltre, ma che descrive perfettamente cosa sia questo disco e dove desideri stare io, ascoltatore. 
Quindi, primo pensiero. Questo album è un luogo. È uno di quei rari dischi che possiedono un’architettura, che diventano un ambiente sonoro, un posto in cui si desidera ritornare a contemplare scorci e vedute. 
Vanno “visitati”, vissuti, a volte senza l’ansia di doverne parlare, senza il compito di metterli a fuoco. 
Starci dentro, Right there. Right here.

Che questo disco abbia un’anima “visiva” lo ha dichiarato lo stesso cantante, Grian Chatten. Parlando del titolo e dei riferimenti culturali che stanno alla base della loro ultima fatica, viene spesso citato Akira di Otomo, come esempio di opera in cui i sentimenti resistono anche alle apocalissi. 
E cita anche la Grande Bellezza di Sorrentino, toccando il tema dell’incapacità di provare sentimenti o empatia, poi descritta in modo plastico nel pezzo In The Modern World, quando viene enunciato senza vergogna alcuna che “I don’t feel anything / In the modern world / And I don’t feel bad”. 
Curioso il fatto che si parta da un problema di anestesia emotiva per un disco che ha come titolo Romance
Sempre Chatten ci racconta che proprio In The Modern World è stato il pezzo che ha dato il colore al nuovo lavoro.
Cito (e poi la smetto) direttamente dall’intervista:

“Now I know where we’re going. I know the colour and the year and the atmosphere and the temperature of this city that we’re soundtracking.”

È quindi programmatico, abbiamo una colonna sonora per le mani. 
Il disco ha incominciato a prendere forma durante il tour in nord America. È un’opera figlia di un flusso di contributi e contaminazioni, alcuni pezzi sono direttamente influenzati dai gruppi incontrati durante il cammino, altri sono eredità del passato. I Fontaines hanno raccontato che non c’è stato un momento di scrittura: il tutto è avvenuto in modo continuo e naturale. Alla fine del tour ogni membro ha preso un momento di pausa, in giro per il mondo, Chatten a Los Angeles, altri tra Spagna e Francia.
I nostri si sono poi ritrovati a nord di Londra per tre settimane di full immersion pre-produzione e poi in un castello nei pressi di Parigi, dove hanno iniziato a provare sotto l’ala protettiva di James Ford

Cosa è successo dunque in quella sala di registrazione? Esiste un filo che unisce Dogrel a Romance, passando per tutti e quattro gli album dei Fontaines? La mia risposta è no. Non ho nelle cuffie da giorni un nuovo Skinty Fia, o una sua evoluzione. Ho una versione matura, consapevole e adulta di una band già fenomenale nella sua versione adolescenziale.
Prendete i Fontaines e immaginate un loro un album che spazi dallo shoegaze al Seattle Sound, che citi gli Oasis e i Depeche Mode, osate nell’abuso di archi, cori, crescendo, cercate ancora quella matrice dubliner, anche se in esilio a Londra,giocate nel trovare i riferimenti cinematografici e letterari. Chi, se non loro, possono frullare James JoyceCalderon de la Barca e i Beach Boys?
Così vi esploderanno nelle orecchie fin dalla prima canzone, Romance, che ha il pregio di illudere e non far rimpiangere quella clamorosa opening track che fu In ár gCroíthe go deo in Skinty Fia
Segue Starbuster, racconto di un attacco di panico musicato e interpretato alla perfezione. Lentamente i Fontaines lasciano gli ormeggi del loro porto sicuro, sta per iniziare il viaggio. Here’s The Thing e Desire iniziano a esplorare nuovi spazi, il disco lascia la bidimensionalità e io mi sento come un bimbo al cinema, naso all’insù e sguardo ebete. Ipnosi riuscita, sospensione della realtà raggiunta, sono pronto per In The Modern World, canzone-manifesto, ma anche la prova finale che qualcosa è cambiato. Il disco solista di Chatten si sente, sempre di più, sottopelle ma presente, in Romance. Lui stesso lo racconta in un’intervista in cui spiega che le conseguenze sono due: una maggior confidenza con archi e ottoni in fase di arrangiamento e una migliore relazione con la propria voce. Tutto vero, c’è più cantato in Romance che nei tre dischi precedenti.
Poi di colpo è 1995 con Bug, o almeno è dove mi sembra di precipitare. E mi diverto tantissimo, come anche loro, a ben vedere. In Motorcycle Boy faccio fatica a riconoscere i Fontaines, che da questo punto fino a Death Kink giocano con citazioni e generi. Chiude Favourite, che, non so dire perché, sembra ancora più bella alla fine del percorso, nonostante suonasse già benissimo come singolo. 
Ecco. Il primo pensiero che ho a fine ascolto, ogni volta, è che non ricordo l’ultimo album con un numero così alto di potenziali singoli. E il secondo è che, forse per la prima volta, ho l’impressione che i ragazzi si siano divertiti a scrivere senza margini, a disegnare senza far sanguinare il foglio, a raccontare senza ferire (troppo). 
È un miracolo raro che un divertissement di una band poi suoni anche bene.

Di brutto c’è la copertina. Qualcosa si può ancora migliorare. 

Questo è un disco sull’amore alla fine del mondo.
Di come l’amore viene vissuto, raccontato e mostrato. Non è Romantico, è la sua versione distorta che abbiamo deciso di accettare.
Uno Sturm und Drang nato nelle periferie del mondo, in cui possiamo ammirare i cieli di Turner da un oblò di un volo low cost, in cui siamo dei Viandanti sul mare di nebbia, che però, se guardi bene, è lo smog del nord di Londra. 
Ha senso essere romantici nel nostro mondo, alla fine del nostro mondo?  È davvero l’amor che “Move il Sole e l’altre Stelle”? 
Chatten liquida la faccenda così, in Horseness Is The Whatness:

“Will someone / Find out what the word is / That makes the world go round / ‘Cause I thought it was love / But some say / That it has to be choice / I read it in some book / Or an old packet of smokes.”

Lo so, avevo promesso niente più citazioni. Chiedo venia e chiudo.

Avevo aspettative altissime, così come profonda era la paura di una delusione, di un passo falso, di una direzione inaspettata o di un principio di autoreferenzialità. Mi ritrovo alla fine di un viaggio inaspettato, in cui ho visto nuovi colori e nuove atmosfere, come deciso dai Fontaines nel loro continuo e incessante processo di elaborazione del reale. Hanno uno sguardo da poeti, questa era cosa nota. E io continuo a vedere Sean Penn che recita parole di saggezza, che devo farci. Che album incredibile.

Era il 2019.

“My childhood was small / But I’m gonna be big”.

Complimenti, davvero.