Un paio di sere fa ero a cena con due amici, in un pub dove talvolta fanno musica dal vivo. Coincidenza vuole che quella fosse una serata denominata “Jam!”, dove come il titola lascia intuire, il palco è a disposizione per chi volesse suonare. Nella fattispecie il genere sul quale si sarebbe dovuto suonare o improvvisare era il blues. Il palco inizialmente viene occupato da un trio, incaricato di dare il via alla serata immagino, il cui cantante/chitarrista indossa una t-shirt di B.B. King, giusto per togliere eventuali dubbi sulla proposta musicale.
Ascolto la prima manciata di brani, si muovono chiaramente in quelle zone, molto delta, qualche spruzzatina di country, e pur apprezzando e rispettando il tutto non possono non pensare che quando suoni il blues, QUEL blues, lo devi suonare con tutti i suoi crismi e modi, strutture, confinando davvero ai margini ciò che possa essere ascrivibile sotto la colonna innovazione o personalizzazione.
Tutto sto pippone mi serve per introdurre un gran bel disco che esce proprio oggi, ovvero Send A Prayer My Way del duo Julien Baker & TORRES. E nonostante il background delle nostre, parliamo di un disco fondamentalmente ed indiscutibilmente country.
Non che sia una novità assoluta lo sconfinamento verso questi lidi di artisti prevenienti da differenti aree (Post Malone l’ultimo che mi viene in mente), ma quello che le due musiciste americane hanno realizzato è un bellissimo disco outlaw country che suona assolutamente sincero e credibile pur mostrando la data d’uscita ad ogni brano.
Il disco ha visto la luce dopo che da diverso tempo TORRES (all’anagrafe Mackenzie Ruth Scott) e Julien Baker (che ha un paio di dischi clamorosi da solista oltre che a quella fortunata fuga nelle Boygenius) avevano in programma un album assieme, e l’occasione si è concretizzata lo scorso anno quando la prima ha aperto alcuni concerti del tour di Julien.
Il risultato sono dodici brani che spaziano lungo tutti i sacri dogmi del filone portato avanti dai vari Kristofferson, Jennings e compagnia.
The Only Marble That I’ve Got Left è Willie Nelson in purezza, così come Tuesday, nella quale emergono tematiche forti e care alle nostre, amore saffico che cozza contro bigottismo, religione e finisce in rimpianti o in Sylvia, “What’s it means to have everything if I can’t share it with my girl?”.
Gli episodi nei quali si azzarda maggiormente sono probabilmente anche quelli più riusciti, Sugar In The Tank potrebbe tranquillamente stare in un disco di Julien Baker, le accelerate di Tape Runs Out, le armonizzazioni di No Desert Flower, insomma c’è molto in questo disco, e quel molto risulta anche essere bello. Molto.
Al netto della qualità e della capacità di scrittura che emerge da questo lavoro, a mio avviso sarebbe ingiusto limitarsi a definire Send A Prayer My Way un semplice atto d’amore, un tributo, perché qui c’è molto altro, c’è la dimostrazione tangibile di come si possa far sì che le proprie radici facciano un passo avanti, guardare oltre senza perdere di vista la partenza, un po’ come diceva Bertoli, “Con un piede nel passato / E lo sguardo dritto e aperto nel futuro”.
Brave.