Partiamo da un assunto fondamentale, giusto per mettere in chiaro un paio di cosette: prima, ad oggi trovare uno più bravo di Gareth Lillard nell’antica arte di fare musica è un compito ai limiti dell’impossibile; seconda, non è nemmeno Fairyland Codex il primo disco sbagliato dei Tropical Fuck Storm.
Il ritorno degli ex Drones Lillard e Fiona Kitschin, con i confermatissimi Erica Dunn e Lauren Hammel a completare il quartetto, continua l’opera oramai intrapresa quasi una decina d’anni fa di impietosa e cruda fotografia del mondo in cui viviamo, e a meno che non viviate in qualche monastero di clausura o in qualche villaggio isolato in Namibia (sì, tipo gli Xun per capirsi) è una sberla appena svegli, un cazzotto in faccia quando hai la guardia bassa, una secchiata d’acqua fresca dai, perché noi siamo contro la violenza.
Musicalmente parlando questo Fairyland Codex si allontana in maniera naturale da territori più psichedelici ma mantiene innata l’indole caratteristica della band australiana, che come dice lo stesso leader “quando iniziamo a suonare non abbiamo molto ben chiaro dove potremo andare a parare”.
Si prenda ad esempio il blues sghembo à la Captain Beefheart di Dunning Kruger’s Loser Cruiser “I feel good for no bad reason, I feel bad for no good reason, Time is an illusion, lets go get lunch” come il pseudo dub di Joe Meek Will Inherit the Earth od anche i riffoni pesanti e cadenzati di Goon Show (ogni riferimento ai fatti di Capitol Hill di qualche anno fa è totalmente casuale). Il disco si tiene insieme in maniera magica grazie al coesistere di opposti, come il molto dolce di Stepping On A Rake “You can be mean, You can be kind, But see it’s ok, Coz I don’t really mind” anche se “When we first met I loved you straight away” e l’incredibilmente caotico della conclusiva Moscovium, con quel non casuale “Murderers” ripetuto più volte.
Il culmine, musicale ed emotivo, del disco probabilmente risiede a metà, nel pezzo che dà il nome all’album; quasi nove minuti che si aprono con sonorità che ricordano i magnifici Springtime, l’ultima creazione in ordine cronologico di Lillard, che su un dolce tappeto di arpeggi di chitarra ci ricorda sommessamente che “A village in hell is waiting for you”. Un estemporaneo quanto impronosticabile stacco sincopato e folle porta ad un crescendo di tensione e nevrosi che quando finisce ti ritrovi a terra, inerme ed esausto.
Fairyland Codex è un disco nel quale di speranza non ce n’è poi molta ad esser sinceri, è una cruda e sincera istantanea del presente e Gareth Lillard uno dei pochi veri interpreti dei giorni nostri.
Non c’è molto per cui rallegrarsi, i tempi in cui viviamo sono tendenzialmente orribili, ogni giorno riesce sorprendentemente a superare le nefandezze di quello che l’ha preceduto.
I Tropical Fuck Storm per fortuna (o purtroppo, a seconda di come vogliate vederla) hanno la peculiarità di non girarci troppo intorno e sono qui per spiegarvelo.
Ancora una volta.
L’ennesima.
A naso non sarà l’ultima.