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Tag: Music

John Butler Trio @ Acieloaperto

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• John Butler Trio •

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 Acieloaperto

Rocca Malatestiana (Cesena) // 29 Giugno 2019

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Se dovessi immaginare il falò ideale in spiaggia, di notte, cullata dalla brezza marina e dal suono delle chitarre, penserei alla compagnia di Ben Harper, Jack Johnson, John Butler e se proprio volessi aspirare alla perfezione anche Eddie Vedder, per l’accompagnamento all’ukulele. E se tre quarti degli artisti nominati sono entrati nella collezione dei miei ascolti già da bambina/adolescente, John Butler ha fatto breccia nel mio cuore musicale non molto tempo fa, camminando lungo i sentieri invisibili del mare, lungo quelle rotte irrazionali che conducono a qualcosa che ha a che fare con il destino. Un pomeriggio estivo, un tramonto e il video di Ocean, il gioiello acustico per cui è diventato celebre in tutto il mondo. <<Benvenuta in questo fantastico mondo!>>– mi era stato detto. Quell’aria da busker, surfista, skater, uomo senza guinzaglio. Quella terra da cui proviene, l’Australia, anticamente selvaggia, un po’ come lui e il suo talento innato per la dodici corde.

Dalle rive del Pacifico si vola alla suggestiva venue della Rocca Malatestiana di Cesena in occasione del festival A Cielo Aperto, dove nella serata del 29 giugno, l’artista con la sua straordinaria band, i The John Butler Trio, ha omaggiato il nuovo lavoro in studio, Home, pubblicato il 28 settembre 2018. Un caloroso applauso, illuminato dalle sfumature rossastre del sole che sta calando, accoglie i protagonisti che salgono sul palco addirittura qualche minuto prima dell’orario previsto. La chitarra slide è pronta, si inizia. Wade in the water, Tahitian blue e Running away fanno da portavoce all’ultimo album, impreziosite da una sapiente resa live.

<<Buonasera! Innanzitutto mi scuso perché non so una parola di italiano >> ammette, imbarazzato, John – <<sono davvero contento di essere qui assieme a dei grandissimi professionisti: Elena Stone alle tastiere (e alla fisarmonica, che chicca!), Terapai Richmond alla batteria e Owen “OJ” Newcomb al basso>>. Una presentazione doverosa, più che di rito, dato che pochi mesi fa Byron Luiters e Grant Gerathy, storici componenti del gruppo, hanno deciso di ritirarsi per qualche tempo dalle scene per seguire altre aspirazioni e per dedicarsi alle proprie famiglie.

L’atmosfera si scalda e i fan acclamano con entusiasmo Betterman, brano estratto da Three (2001), e Blame it on me che viene caratterizzata, all’inizio, dagli effetti distorti della voce per poi sfociare nel primo vero assolo del set. Riff complessi e articolati, dita velocissime che scorrono sulla paletta delle tante chitarre che appaiono sulla scena, lo slide metallico indossato come fosse un anello magico capace di dipingere le note di nuovi, fantasmagorici colori.

<<Il prossimo brano si intitola Faith. Non so se si può parlare di fede in tempi come questi ma ho bisogno di credere che ci sia qualcosa. C’è chi crede in un tizio bianco, vecchio con la barba, chi in quello grasso e pelato…c’è chi crede negli alberi…o nei funghetti allucinogeni! Io penso molto semplicemente che tutti dovremmo credere nella pace. Tutti dovremmo vivere in pace>>. La traccia numero sette di Home è un’emozionante commistione di folk, rock e cantautorato classico, interpretata con gli occhi rivolti al cielo. Una delle chiavi di lettura fondamentali per sfogliare l’eterogeneo libro discografico dei The John Butler Trio è proprio “commistione”. Pickapart rimanda a sonorità tra l’alternative e il grunge, il testo è uno spoken velocissimo, scandito, di cui non viene persa nemmeno una sillaba. L’acustica è talmente agile, attiva, reattiva che, talvolta, sembra trasformarsi nella sua versione elettrica. La band, poi, non sbaglia un colpo: le tastiere è come se si moltiplicassero e il groove della parte ritmica batte a ritmo costante, coinvolgente, così deciso da far ballare tutti a tempo.

Rimasto da solo sul palco, Butler si siede abbracciando il fidato strumento. È chiaro: è il momento di Ocean. In un religioso silenzio, in più di dieci minuti di performance strumentale, ci si ritrova catapultati su una spiaggia dorata, sconfinata, ad osservare le onde infrangersi. Ammirare, fra quelle onde, l’impresa dei surfisti nel rimanere in equilibrio o vederli cadere, aguzzando lo sguardo per ritrovarli tra i flutti. Un saliscendi infinito in cui sono contenute tutte le stagioni, tutti i momenti della giornata: il sole che sorge dalle acque, i tramonti, le notti stellate, la luna all’orizzonte. Un oceano di vibrazioni, di emozioni e di applausi, allo scoccare dell’ultima nota.

C’è spazio anche per il banjo e per le tinte country-hoedown di Better than, Don’t wanna see your face e Ragged mile che anticipano il canonico sipario: <<Questo è l’ultimo brano. E non dite di no eh… .Ho detto no!>>. Tuttavia, una canzone che si intitola We want more non sarebbe potuto essere il pezzo di chiusura.

Con il sorriso stampato in faccia e con aria divertita e compiaciuta, il musicista australiano riappare in scena in solitaria: <<Sono cambiate molte cose in questi anni. Sono diventato padre. E quando diventi padre, soprattutto all’inizio, ti sembra uno di quegli avvenimenti per cui ti chiedi: “Sta succedendo davvero a me?”. Realizzi che è fantastico, un dono. E mia moglie è stata superlativa. Ha avuto trentotto ore di travaglio. Bene…dopo questa esperienza è mutato molto il mio modo di vedere la vita. Apprezzo ogni singolo secondo. E soprattutto non oso più lamentarmi…dopo le trentotto ore di travaglio!… Il prossimo brano è stato scritto per la mia famiglia>>. Peaches & cream ha una struttura doppia, è divisa in due parti: la prima, cucita addosso al vecchio “John”, è malinconica e dai toni grigi, la seconda che si spalanca al verso “You and your mum in front of me” prevede l’entrata di tutta la band per riempirsi di quella sensazione gioia che descrive, accordo dopo accordo.

Nella festa finale, la cui colonna sonora è affidata a Zebra, classico del primo album Sunrise over sea, e a Funky tonight, si accendono tutte le sfaccettature che rendono unica questa band: il funky (appunto), il raggae, il blues, il rock, l’hip hop, il folk sono combinati in una reazione chimica esplosiva. Per gioco, una palla incandescente immaginaria viene lanciata dal palco al pubblico che la afferra, divenendo protagonista di ognuno dei cori che si alzano all’unisono. Un saluto conclusivo che è, in realtà, un arrivederci a presto. Un abbraccio che si scioglie in sorrisi soddisfatti, in espressioni meravigliate davanti a tanto talento, tanta bravura ma anche a tanta dimostrazione di umanità. La speranza, la possibile “fede” che siano questi i momenti che legano indissolubilmente le persone, che permettono di sentirsi parte di un’unica grande sfera che balla a ritmo di assoli di chitarra e che canta per esprimersi con libertà, per farsi ascoltare. E se, in tema di fede, credessimo ancora nelle divinità greche e latine, il dio del mare e la dea della musica, una volta scesi a patti, avrebbero di sicuro scelto quest’uomo libero, quest’artista di nome John Butler come proprio rappresentante sulla terra.

 

SETLIST:

 

Wade in the Water
Tahitian Blue
Running Away
Betterman
Blame It On Me
Faith
Used to Get High
Pickapart
Ocean
Tell Me Why
Better Than
Just Call
Don’t Wanna See Your Face
Ragged Mile (Spirit Song)
Treat Yo Mama
We Want More

Encore

Peaches & cream
Zebra
Funky tonight

 [/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Testo: Laura Faccenda

Foto: Michele Morri

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Capo Plaza @ Parma_Music_Park

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• Capo Plaza •

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Parma Music Park (Parma) // 28 Giugno 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Mirko Fava[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row content_text_aligment=”center” css=”.vc_custom_1551661546735{padding-top: 10px !important;padding-bottom: 0px !important;}”][vc_column][edgtf_image_gallery type=”masonry” enable_image_shadow=”no” image_behavior=”lightbox” number_of_columns=”three” space_between_items=”tiny” image_size=”full” images=”15041,15044,15043,15046,15047,15045″][/vc_column][/vc_row]

Deejay Time @ Romagna_Shopping_Valley

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• Deejay Time •

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• Albertino • Fargetta • Molella • Prezioso •

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Romagna Shopping Valley (Savignano sul Rubicone) // 28 Giugno 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Luca Ortolani

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Calcutta @ Rock_in_Roma

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• Calcutta •

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Rock in Roma (Roma) // 27 Giugno 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Matteo Cassoni

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Slipknot @ Bologna_Sonic_Park

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• Slipknot •

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+

Amon Amarth

Testament

Lacuna Coil

Coc

Eluveitie

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Bologna Sonic Park (Bologna) // 27 Giugno 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Eravamo 20mila, ieri sera, stagliati su ogni centimetro dell’Arena Parco Nord di Bologna, per quella che, evidentemente, sarebbe stata per tutti un’attesissima riunione di famiglia.

Gli Slipknot tornano in Italia dopo 3 anni, reduci da un periodo tutt’altro che facile e noi, nel pit, sul prato, attaccati alle transenne, siamo qui per farci sentire, per dimostrare quanto dobbiamo ai loro album, alla loro eclettica e catartica carriera.

Perché sì, i 40 gradi dell’incandescente giornata di ieri (a disposizione di tutti, gratuitamente, free refill di acqua, iniziativa atta a ridurre la produzione di plastica) non sono bastati per demolire la carica del pubblico del Bologna Sonic Park, ospite dell’Arena dalle 13 della mattina, orario d’inizio del festival aperto dai Black Peaks seguiti da Eluveitie, Corrosion Of Conformity, Lacuna Coil, Testament, e Amon Amarth.

Ma gli headliner, gli Slipknot, hanno intenzione ripagarci completamente della torrida attesa. Nonostante il loro anomalo ritardo sulla scaletta, con l’intro 515 e People = Shit la loro entrata in scena è così spettacolare che ci è tutto immediatamente chiaro: il sole doveva tramontare completamente per rendere giustizia al design del palco, di una potenza visiva in piena linea con la maturità artistica che la band dell’Iowa ha acquisito in questi 20 anni di onorato servizio al metal.

Entrando corre Corey Taylor, amatissimo frontman della band, corre per quel palco, ce lo vuole mostrare tutto, nei suoi tre piani ricoperti interamente da schermi e neon, completando una scenografia che, con (sic) ci trasporta in un laboratorio dove gli esperimenti sulla psicotica mente umana sono all’ordine del giorno.

Perché, ogni volta, si tratta proprio di questo: quando gli otto entrano in scena, con le loro maschere ispirate ai classici dell’horror, è un viaggio nella psiche che, vorticando tra eros e thanatos, lega il pubblico e la band in un abbraccio collettivo dove ognuno, nello sputare fuori il proprio lato oscuro, non si sentirà mai solo, mai abbandonato.

Dal canto suo, la band di Des Moines ci assicura uno show tutt’altro che affaticato da tanti anni di concerti. La performance è frizzante, fresca. Non sono invecchiati di un giorno quei ragazzi dell’Iowa, o meglio, lo sono, ma la tempra che li contraddistingue non ci delude, nemmeno questa volta. Corey Taylor, nonostante il recente intervento alle ginocchia, è davvero in forma e, dopo anni, continua ad utilizzare la voce con la padronanza ed il timbro che c’ha fatto innamorare di lui.

<<Siete la nostra famiglia>> ci grida Corey, dopo averci presentato alcuni brani da We Are Not Your Kind, l’imminente nuovo album in uscita <<una grande famiglia e non importa se nelle nostre vene non scorre lo stesso sangue, siamo tutti accomunati da questo grande amore per la musica. Siamo una famiglia, amici miei>>.

L’aria che si respira nell’Arena non mente, siamo sempre noi, quelli di 20 anni fa che sfoggiano le magliette consumate del tour di Slipknot l’omonimo primo album della band. Siamo cresciuti, siamo nostalgici, ora ci portiamo dietro i figli, le nuove leve da crescere a pane e Duality.

Non si resiste al desiderio di buttarsi in quel groviglio di rituali di appartenenza che caratterizzano il metal, costellando di tanti, seppur ordinatissimi, circle pit. E dove il pit non poga è commovente notare quanto i cellulari, vera piaga della musica dal vivo delle ultime generazioni, vengano lasciato negli zaini, mentre i nostri occhi ed i nostri corpi siano gli unici strumenti presi in considerazione per partecipare alla festa.

E che festa.

SCALETTA:

(515) / People = Shit

(sic)

Get This

Unsainted

Disasterpiece

Before I Forget

The Heretic Anthem

Psychosocial

The Devil in I

Prosthetics

Vermilion

Custer

Sulfur

All Out Life

Duality

Spit It Out

Surfacing

 

Valentina Gessaroli

 

Foto per gentile concessione di Bologna Sonic Park

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Calcutta @ Milano_Summer_Festival

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• Calcutta •

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 Milano Summer Festival

Ippodromo San Siro (Milano) // 25 Giugno 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Elisa Hassert

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Me First And The Gimme Gimmes @ Rock_Planet

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• Me First And The Gimme Gimmes •

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Rock Planet Club (Pinarella Di Cervia) // 25 Giugno 2019

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Band (Live):

Spike Slawson (Voce)

Dave Raun (Batteria)

Chris Shiflett (Chitarra)

C.J. Ramone (Basso)

Stacey Dee (Chitarra)

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Luca Ortolani

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Teenage Bubblegums

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SETLIST:

image1

 

Grazie a Hub Music Factory

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Soap&Skin @ Ferrara_Sotto_Le_Stelle

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• Soap&Skin •

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 Ferrara Sotto Le Stelle

Cortile Castello Estense (Ferrara) // 25 Giugno 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Carlo Vergani

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Tom Walker @ Percuotere_la_mente

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• Tom Walker •

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 Percuotere la mente

Corte degli Agostiniani (Rimini) // 24 Giugno 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Valentina Bellini

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[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

Julia Holter @ Ferrara_Sotto_Le_Stelle

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• Julia Holter •

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 Ferrara Sotto Le Stelle

Cortile Castello Estense (Ferrara) // 24 Giugno 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Carlo Vergani

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Groundation @ Parma_Music_Park

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• Groundation •

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Parma Music Park // 17 Giugno 2019

[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column][vc_column_text]Foto: Mirko Fava

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